(Ancora) magistratura: il “Sistema” Palamara ci ha insegnato qualcosa?

Luca Palamara l’aveva detto al termine della sua intervista con Alessandro Sallusti: i protagonisti cambiano, ma il “Sistema” – o perlomeno un “Sistema” – resta.

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E difatti, la magistratura resta uno dei temi caldi delle ultime settimane, con l’esplosione del caso relativo ai verbali di Piero Amara, prima consegnati dal pubblico ministero milanese Paolo Storari all’allora consigliere del Consiglio Superiore della Magistratura, Piercamillo Davigo, e poi anonimamente inviati ai giornali. Il contenuto dei verbali fa riferimento ad una loggia, denominata “Ungheria”, la quale si sarebbe riunita in svariate occasioni per determinare nomine ed influenzare lo svolgimento del tanto criticato meccanismo di autogestione della magistratura, che avrebbe coinvolto circa quaranta magistrati.

Si tratta di uno scandalo che, per chi ha avuto occasione di conoscere la magistratura attraverso i giornali o le parole di Palamara (ex consigliere CSM), non può essere considerato sorprendente. Ormai è noto, le correnti controllano ogni decisione, dalle promozioni all’avanzamento delle indagini, e sono sempre pronte a spingere i magistrati a tirar fuori gli scheletri nell’armadio di chi, questo “Sistema”, osa sfidarlo. Si aggiunga il ruolo del Quirinale, al quale Palamara ha fatto riferimento in svariate occasioni (l’insinuazione è che ci sia chi, al Colle, ha posto veti su alcune nomine e abbia sfruttato il gioco delle correnti per perseguire interessi politici), e la ricetta è quella del disastro perfetto. Chi sfida il “Sistema” è finito, perché c’è sempre un ‘cecchino’ pronto a fermarlo attraverso le forze politiche che governano il CSM, o addirittura attraverso le procure stesse.

Resta da applicare la teoria ai fatti. Cosa sta succedendo nella magistratura? Il fascicolo arrivato ai giornali è opera di questo misterioso ‘cecchino’ o si tratta di un atto di sfida nei confronti di questo sistema, simile a quello di Rocco Fava che diede inizio al celeberrimo Palamaragate?

La domanda sembra essere lecita, in quanto il ruolo dei vari personaggi in questa vicenda sembra essere perlomeno incerta. Mentre non sembra una coincidenza che i verbali siano stati trasmessi ai giornali due giorni dopo il pensionamento di Davigo, e che la sua stessa segretaria fosse stata trovata in possesso dei documenti, appare incomprensibile l’idea che l’ex consigliere li abbia tenuti da parte, senza far emergere la questione nel CSM, per poi rendere l’informazione pubblica.

Si aprono due strade davanti alla questione. Da una parte, si tratta dell’ennesimo scandalo che porta alla luce le nefandezze della magistratura italiana, colpevole di aver ‘protetto’ Amara non una, ma ben due volte; dall’altra, non si può escludere che questa sia l’ennesima ritorsione del “Sistema” contro chi decide di sfidarlo, e che tutta la vicenda abbia il solo scopo di far saltare qualche testa scomoda alla politica correntizia.

Ma il caso in questione è diverso da quello di Palamara. Il clima di caos che regna nella magistratura è evidente, ed emerge il fatto che quest’ultima sia diventata incapace di controllarsi. È il preludio alla fine di un’era, o meglio, della fine delle persone che hanno caratterizzato quest’era. Senza una riforma sostanziale del CSM, il meccanismo di pressioni politiche che ha dato vita al sistema Palamara non cesserà di esistere: finché i magistrati preserveranno il potere di fare politica e restare impuniti per il loro esercizio arbitrario della giustizia, le correnti (e forse anche chi, nelle gerarchie del Potere, si trova ancora più in alto), il “Sistema” non potrà fermarsi. Si tratta di un circolo vizioso dal quale l’uscita rappresenta il collasso di un’istituzione, e sicuramente non saranno i magistrati stessi a dar via a questo processo.

La politica e la giustizia, bisogna dirlo, sono due argomenti inevitabilmente interconnessi. Anche laddove il potere giudiziario sembra essere esercitato in maniera meno politicizzata, come nel Regno Unito, gli interventi da parte dei tribunali in questioni politiche non mancano, sollevando aspre critiche. Basta guardare il responso popolare al caso Miller-Cherry, nel quale la Corte Suprema dichiarò illegale il tentativo da parte di Boris Johnson di sospendere i lavori del Parlamento per un mese. I tribunali a volte (magari anche spesso) sono chiamati a compiere decisioni che hanno un risvolto politico.

Il problema è che, in Italia, spesso questi portino a compimento solamente quei processi volti a danneggiare una particolare forza politica, vedasi i casi Berlusconi e Renzi. La guerra non è contro chi esercita il potere politico in maniera incorretta, ma contro chi utilizza il potere conferitogli dal popolo per metter mano alla magistratura. Non comprendere tutto ciò, e non portare avanti un piano di riforme che metta una fine a tutto questo, rappresenta il preludio del declino della legittimità democratica delle istituzioni. Il “Sistema” Palamara è chiaro ed evidente a tutti, ma se la riforma del CSM non sarà volta a ridefinire le dinamiche della gestione della magistratura, allora in fin dei conti le atrocità del “Sistema” non ci hanno insegnato nulla.

di Tommaso Corno, revisione a cura di Flavia Russo.

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