Viaggio nel Regno delle Ombre

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Oltremanica
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3 min readMay 14, 2021

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Il Cinema e la sua anima in movimento

Il direttore della fotografia di un film viene spesso definito tecnico delle luci. Non capita mai che lo si chiami tecnico delle ombre. Ed è comprensibile. Le ombre si fanno con le luci, opportunamente orientate e regolate.

Ma luci e ombre sono inscindibili e complementari. Se sono le luci a produrre le ombre, le ombre a loro volta imprimono forza e splendore alla luce. Così la luce manifesta il suo potere: esibendo la propria assenza.

Può accadere però che le ombre diventino componenti essenziali – se non addirittura le protagoniste – della rappresentazione e dell’esperienza cinematografica.

Non è un caso che lo scrittore russo Maksim Gor’kij trovandosi ad essere uno dei primi spettatori del cinematografo dei fratelli Lumière, reagì così: “La scorsa notte sono stato nel regno delle ombre!”. Perchè ombre? E perchè regno?

Gor’kij ritorna su questo concetto: “non la vita ma l’ombra della vita, non il movimento della vita, ma una sorta di spettro muto”. E ancora: “è terribile vedere questo grigio movimento di ombre silenziose mute”. A differenza della fotografia, le immagini del cinematografo sono instabili – in movimento come delle ombre, appunto.

Gor’kij coglie la natura paradossale delle immagini cinematografiche attraverso la metafora delle ombre; al pari delle ombre esse riflettono una delle proprietà abitualmente associate all’esperienza umana: il movimento. In questo sta la loro forza prodigiosa.

E tuttavia, al pari delle ombre, non sono in grado di assorbire altre qualità essenziali e sono quindi condannate a esserne un pallido riflesso. E qui sta il loro invalicabile limite.

Ecco quindi che prende forma un’altra metafora: quella degli spettri, ai quali fin dall’età omerica sono state associate le ombre.

L’Ade quale ci viene descritto da Omero è appunto il regno delle ombre. Nel suo libro Gli Equivoci Dell’anima, il filosofo Umberto Galimberti analizza il viaggio di Ulisse nell’aldilà fissando alcuni punti fermi sul rapporto tra anima e ombra nella poesia omerica. All’uomo vero, quello visibile nel suo corpo, si contrappone l’anima che, senza corpo, è solo ombra. (eidolon): a essa Omero non riconosce altra funzione se non quella di abbandonare il corpo e la descrive come «lo spettro che svolazza nell’etere simile a un sogno».

Dunque, il cinematografico regno delle ombre descritto da Gor’kij presenta senz’altro delle affinità con l’Ade omerico dove l’anima, abbandonato il corpo, emigra. Ma più che dal punto di vista visivo, il paragone sussiste dal punto di vista estetico, cioè per come l’esperienza viene percepita. Attraverso la sua descrizione dell’esperienza cinematografica, Gor’kij sembra infatti parafrasare il disorientamento di Ulisse quando nel canto XII dell’Odissea entra in contatto con le anime dell’Ade ridotte a pallide ombre.

Perciò la domanda a proposito del testo di Gor’kij non è tanto “perché il regno delle ombre?”, quanto “perché chiamare ombre delle proiezioni luminose di immagini?”.

La risposta la troviamo riconoscendo nella metafora del russo il raffigurare dell’idea omerica di anima come ombra. Un’idea ben presente anche nell’immaginario contemporaneo. Ne troviamo conferma in Danubio di Claudio Magris nel quale sono messi a confronto aldilà cristiano e aldilà pagano. Mentre il primo è fatto di anime e corpi, il secondo ha solo ombre. Proprio per questo Magris lo giudica più moderno e più credibile e lo paragona al cinema, un cinema «che proietta a ripetizione il film di una realtà ormai inesistente, le mere silhouette della vita».

Ecco che l’ombra diviene un elemento essenziale per la formazione dell’immagine sullo schermo, al pari della luce. D’altronde, è solo grazie all’ombra intesa come buio – il buio della sala – che l’immagine cinematografica diventa visibile e sprigiona la sua magia.

di Andrea Tundo

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